Il balon e Massimo Vacchetto su 'Il Fatto Quotidiano'

Sul ‘Il Fatto Quotidiano’ di lunedì 21 gennaio 2013, nella sezione ‘Una giornata particolare’ un articolo a firma Luca De Carolis dedicato a Massimo Vacchetto ed al balon. Eccolo.

Su in Italia, dove la palla si prende solo con il pugno

di Luca De Carolis
Il predestinato ha 19 anni e la passione in ogni parola, per uno sport che resiste, in una terra che sa resistere. “Se ti prende la pallapugno non ti molla più” ammette Massimo Vacchetto, ragazzo di Alba che nella voce tradisce l’età, ma che sulle spalle porta il peso e l’onore di essere un campione, con il tricolore sulla maglia da gioco. Uno degli atleti-simbolo di una disciplina che per un pezzetto d’Italia vale come una carta d’identità: e buonanotte ai lustrini del calcio, il pallone di tutti gli altri. Nel basso Piemonte e nella Liguria di Ponente c’è anche e soprattutto la pallapugno, o pallone elastico, sport che ha analogie con il tennis: la palla, che si colpisce con la mano, può rimbalzare in campo (lo sferisterio), e l’obiettivo delle due squadre da quattro è mandarla oltre la linea di fondo avversaria.

LE RADICI DEL BALON, per scriverla alla piemontese, affondano in secoli lontanissimi, quando in tutti gli angoli dell’impero romano la palla era la via al gioco. Il padre del pallone elastico è il bracciale, che si praticava con una protezione in legno e agli inizi del secolo scorso in Italia era ben più popolare del calcio. Il tempo ha cambiato tutto, tranne l’amore per la pallapugno della gente delle Langhe. Terra di infiniti colori, vini formidabili e scrittori eterni: come Cesare Pavese e Beppe Fenoglio, che della pallapugno scrissero spesso. “Andava a vedere a giocare alla pelota (pallapugno, ndr), gli piaceva sia per la bellezza del gioco, sia perché a vedere le partite e a scommettere c’era sempre tanta gente” racconta Fenoglio in “I ventitrè giorni della città di Alba”. Tanti decenni dopo, Vacchetto abbassa il tono della voce per dire: “In tanti libri hanno scritto parole bellissime sul nostro sport”. Massimo è campione d’Italia, grazie allo scudetto vinto nel novembre scorso con la sua Albese. Lui è il battitore e capitano, ruolo cardine che negli articoli e nei discorsi della gente è valsa la sintesi: Vacchetto è diventato campione d’Italia. Proprio lui, figlio d’arte: il padre giorgio, classe 1964, gioca ancora, pur avendo vinto tanto (anche un Mondiale, nel 2004). Militavano assieme, padre e figlio, in quell’Albese che è una delle squadre più titolate assieme a Cuneo, Imperia, Torino e Canalese, nuova arrivata ai piani alti di un torneo che è una riserva ligure-piemontese. Dalla prossima stagione, Vacchetto senior andrà alla Benese, in serie B. Ma il figlio Massimo è tranquillo: “Io sono il capitano, devo assumermi le responsabilità”. Nello sferisterio, il campo lungo 90 metri, sono proprio i capitani a dettare tempi e ritmi del gioco con la loro battuta. Tutto ruota attorno al gesto del battitore, alla sua rincorsa che ricorda il lancio del disco. Il

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